“Smetto quando voglio”, il lavoro dopo il Covid

La pandemia ha cambiato il nostro rapporto con il lavoro. In un nuovo libro, Paolo Iacci, docente di gestione delle risorse umane all'Università Statale di Milano, riflette su cause e prospettive della transizione in atto, condividendo proposte originali per affrontare un futuro incerto

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Quiet quitting, quiet firing, quiet hiring, quiet promoting, quiet thriving. Sono i nuovi fenomeni del mondo del lavoro e hanno una cosa in comune: sono tutti molto tranquilli. Forse troppo, per i tempi agitati in cui ci troviamo a vivere. Eppure qualcosa si muove e, passo dopo passo, la rivoluzione innescata dalla pandemia prosegue. Docente di Gestione delle risorse umane all’Università degli Studi di Milano, Paolo Iacci cerca di indagarne le cause, osservarne gli effetti e ipotizzare le prospettive in un nuovo libro edito da Egea: “Smetto quando voglio – Il lavoro nel nuovo millennio tra quiet quitting e silenzio organizzativo”.

Se la storia dell’umanità si divide in prima e dopo la nascita di Cristo, le dinamiche del mercato del lavoro sono cambiate prima e dopo il Covid. L’isolamento forzato, la scoperta di massa delle tecnologie agili, ma soprattutto il bisogno di dare un senso alla propria vita scaturito dal confronto con la caducità dell’esistenza: l’emergenza pandemica è stato il detonatore che ha portato il mercato del lavoro ad esplodere, lasciando spazio a tendenze non sempre nuove ma che fino ad allora non sembravano godere di un vero “diritto di cittadinanza”. Non solo il desiderio di una migliore conciliazione tra il proprio impiego e la vita privata, la possibilità di lavorare dal luogo che si preferisce e la volontà di lasciare un impatto positivo sul pianeta, ma anche la frattura dell’apparentemente inscalfibile contratto psicologico tra individuo e organizzazione.

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