Omicidio nel Varesotto: per Caglioni “fu Carolo a uccidere” Bossi

Caglioni ha ammesso di aver aiutato il co-indagato a spogliare la vittima dell'oro che indossava sottolineando che il movente era di natura economica. Il giovane al pm: "non parlai perché minacciato" dallo stesso Carolo.

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Ha parlato per oltre tre ore, Michele Caglioni, 20 anni, di Cassano Magnago (Varese) arrestato in concorso con Douglas Carolo, 21 anni di Samarate (Varese), per l’omicidio di Andrea Bossi. In carcere a Busto Arsizio (Varese) ha ricostruito davanti al pm Francesca Parola, quella notte tra il 26 e il 27 gennaio quando Bossi, 26 anni, fu ucciso con un colpo di coltello al collo nella sua abitazione di via Mascheroni, a Cairate. Il contenuto dell’interrogatorio è coperto da segreto istruttorio e Caglioni, apparso sereno, sarebbe stato confuso nel raccontare alcune dinamiche accadute in quelle ore, ma su un punto è stato fermo: lui non era nell’appartamento mentre Bossi veniva ucciso, c’era il solo Carolo, da lui portato a Cairate in monopattino, mentre il 20enne attendeva sulla strada. In sintesi, secondo Caglioni, fu Carolo a uccidere. Lui entrò in casa a cose fatte forse perché contattato dall’amico. E l’avvocato Luigi Ferruccio Servi che lo assiste è ansioso di avere tra le mani gli esiti peritali sui sei cellulari disposti con la formula dell’incidente probatorio. Se vi sarà traccia di un messaggio di Carolo a Caglioni poco dopo l’omicidio quella sarà la prova dell’estraneità del suo assistito. Perché scrivergli se si fosse trovato nell’appartamento? Caglioni ha ammesso di aver aiutato il co-indagato a spogliare la vittima dell’oro che indossava sottolineando che il movente era di natura economica. Ma non è chiaro se Caglioni sapesse delle presunte intenzioni di Carolo o meno. Caglioni ha invece spiegato perché ha taciuto con tutti per un mese (tanto è trascorso tra l’omicidio e gli arresti): per paura. Paura di Carolo che lo minacciava ogni giorno mandandogli un messaggio alla mattina e uno la sera: “Se parli fai la fine di Bossi”. In una lettera inviata a La vita in diretta, trasmissione di Rai1, Caglioni ha chiesto ai cairatesi di aiutarlo a ritrovare l’arma del delitto, gettata in un tombino e mai più riemersa, in modo da provare la sua estraneità al delitto.

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