Una “emergenza spirituale” attraversa il nostro tempo perché “mi sembra che oggi sia diffuso un atteggiamento più incline alla rinuncia che alla speranza, a lasciare la terra incolta che a predisporla per la semina. Ho l’impressione che, insieme alla prudenza, alla doverosa attenzione a evitare pericoli per sé e per gli altri e danni al bene comune, ci siano anche segni di una sorta di inaridimento degli animi, un lasciarsi travolgere dal diluvio di aggiornamenti, di fatti di cronaca, di rivelazioni scandalose, di strategie del malumore, di logoranti battibecchi”. Così l’arcivescovo Mario Delpini nel Discorso alla Città in Sant’Ambrogio intitolato quest’anno “Tocca a noi, tutti insieme”. Delpini ha aperto il Discorso alla città (“come viene chiamato con un po’ di retorica”, dice l’arcivescovo) con una Lettura del profeta Geremia in cui “il profeta, su ispirazione del Signore – dice Delpini -, compie un gesto che poteva essere interpretato come sconsiderato: mentre si profila la caduta di Gerusalemme, la deportazione del popolo, la dominazione babilonese, quindi la catastrofe nazionale che cancella il regno di Giuda, Geremia firma un contratto per acquistare un campo, fa un investimento sul futuro”.
“Ovviamente il confronto con i tempi di Geremia è del tutto sproporzionato. Milano ha visto momenti assai più drammatici e disastri molto più sconvolgenti di quelli che stiamo vivendo”, dice l’arcivescovo.
Per “emergenza spirituale”, spiega Delpini, “si intende lo smarrimento del senso dell’insieme che riduce in frantumi la società e l’identità personale e permette così ai diversi frammenti di imporsi e dominare la scienza. Ne deriva la condizione di aridità degli animi che sono come assediati dalle emozioni, dalle apprensioni, dalle notizie della pandemia. Non riescono a pensare ad altro, non possono parlare d’altro. Il resto del mondo e dei temi decisivi per la vita delle persone, delle comunità, del pianeta è emarginato, ha perso interesse. Come se – per riferirmi ancora al testo di Geremia – l’assedio del re di Babilonia che minaccia la città impedisse ogni altro argomento, ogni speranza, ogni preghiera”.

ELOGIO DI CHI RESTA AL PROPRIO POSTO, GRAZIE A SANITARI

Di fronte a una “emergenza spiriturale”, l’arcivescovo Mario Delpini, nel Discorso alla Città in Sant’Ambrogio, spiega di volersi riconoscere “nel popolo delle donne e degli uomini di buona volontà, di quelli che sono rimasti al loro posto, che hanno sentito in questo momento la responsabilità di far fronte comune, di moltiplicare l’impegno. Trovo pertanto giusto fare l’elogio di quelli che rimangono al loro posto: grazie a loro la città funziona anche sotto la pressione della pandemia”. E cita: gli ospedali, i trasporti, i mercati, i comuni, le scuole, le parrocchie, i cimiteri, gli uffici perché “dietr ogni cosa che funziona c’è il popolo, che nessuno può conteggiare, di coloro che rimangono al proprio posto”. Delpini ringrazia, quindi, “in particolare tutti gli operatori sanitari e socioassistenziali che con la loro competenza e dedizione affrontano la pandemia in prima fila; voglio ringraziare i responsabili delle istituzioni, quelli che restano al loro posto, nei municipi, nelle caserme, nei tribunali e nelle carceri, nelle scuole, nei tanti negozi e servizi che con il loro funzionamento garantiscono la tenuta dei legami di vicinato. È facile criticare, è facile entrare in polemica per difendersi, ci possono essere errori e scelte discutibili. Ma io voglio esprimere la mia gratitudine e riconoscere la fortezza, la serietà, l’onestà di chi resta al suo posto e fa funzionare il mondo, anche quando tutto è sconvolto e complicato. E anch’io, per quello che posso e secondo le mie responsabilità, rimango al mio posto e, imitando Geremia, ho deciso di comprare un campo, cioè di seminare speranza”. Il grazie di Delpini è stato rivolto, nell’ultimo parte del suo discorso, per “elogiare e incoraggiare quelli che si fanno avanti” e tra loro, ha citato Delpini, anche “coloro che si fanno avanti per gli incarichi istituzionali e ne assumono le responsabilità. Conoscono la complessità delle situazioni, sono consapevoli di non avere ricette e soluzioni per tutti i problemi, ma si mettono in gioco, con spirito di servizio”.

CON PANDEMIA FALLIMENTO INDIVIDUALISMO,SERVE VISIONE COMUNE

Nel Discorso alla Città, pronunciato in Sant’Ambrogio, l’arcivescovo Delpini ‘mette in guardia’ dall’individualismo “una forma di presunzione rovinosa: la comunicazione diventa impossibile perché ciascuno parla una lingua diversa, la convivenza diventa impraticabile perché l’ideale appare la solitudine, l’educazione si rivela insopportabile perché l’insofferenza prevale sulla gratitudine. Ma i mesi della pandemia – sottolinea – sono stati e sono una dura lezione per la gente e hanno decretato il fallimento dell’“io” e dell’individualismo. A ragione Papa Francesco ha ricordato che siamo tutti sulla stessa barca e ci si può salvare solo insieme (27 marzo 2020); il tempo presente ci sta facendo imparare che siamo tutti necessari gli uni agli altri, anche se siamo fragili e vulnerabili”. La pandemia ci ha insegnato anche, ha detto Delpini, che “la vita ha potuto continuare perché la solidarietà si è rivelata più normale e abituale dell’egoismo, il senso del dovere si è rivelato più convincente del capriccio, la compassione si è rivelata più profondamente radicata dell’indifferenza, Dio si è rivelato più vero dell’“io”. Per affrontare l’emergenza spirituale riceviamo uno sguardo più semplice per riconoscere volti e opere che sono promesse e trovare ancora la semplicità e la determinazione della fiducia”. E aggiunge: “Da questa resistenza operosa e generosa che ha consentito di continuare a vivere e a far funzionare la società, da questo tessuto di rapporti solidali, da questo senso del dovere che ha indotto molti a forme anche eroiche di professionalità, da questa generosità offerta con naturalezza e discrezione traggo il titolo e l’intenzione del discorso alla città di quest’anno. Il discorso, infatti, si intitola Tocca a noi, tutti insieme: adesso tocca a noi, tocca ancora a noi, sempre. Tocca a noi, non nel senso che abbiamo la presunzione di occupare tutta la scena, di imporci come maestri che devono indottrinare altri, di prenderci momenti di potere o di gloria. Tocca a noi, piuttosto, nel senso di un dovere da compiere, di un servizio da rendere, di un contributo da offrire con discrezione e rispetto, di intraprendere un cammino che nessuno può compiere al nostro posto. Un cammino che siamo chiamati a percorrere insieme”. E così “tocca a noi apprezzare come realistico, desiderabile e doveroso vivere insieme, con rapporti di buon vicinato: tocca a noi tutti contribuire, secondo le responsabilità e le possibilità di ciascuno, a costruire quella trama di rapporti che fanno funzionare il mondo e camminare come popolo verso il futuro”.”Per dare concretezza alle buone intenzioni è necessario procedere per un cammino condiviso, riconoscere un fondamento comune, in altre parole avere una “visione”. Papa Francesco ce lo ha richiamato con incisiva chiarezza nella sua ultima enciclica Fratelli tutti”.

 TOCCA A NOI TUTTI ELABORARE NUOVA VISIONE COMUNE

Per l’arcivescovo Mario Delpini, “l’attualità dell’auspicio, o del riconoscimento, di una visione comune si declina nel nostro tempo con tratti particolari. Abbiamo imparato che l’ideologia non va bene: ha prodotto le peggiori stragi della storia. L’individualismo non va bene: ha inaridito la voglia di vivere e dare vita e porta l’umanità verso l’estinzione. Il neoliberismo non va bene: ha creato disuguaglianze insopportabili. Del resto, forse si può anche dire che all’umanesimo lombardo questi princìpi rovinosi non sono congeniali. Certo abbiamo importato anche l’ideologia, anche l’individualismo, anche il neoliberismo, ma senza mai sentirli veramente nostri”, ha detto nel Discorso alla Città in Sant’Ambrogio.
“Per questo si può dire che tocca a noi – ha aggiunto – recuperare le nostre radici, essere fieri della nostra identità originale e proporre una visione comune. Tocca a noi, in coerenza con la nostra cultura, elaborare una visione comune con i tratti di quella sapienza popolare, di quel pragmatismo operoso, di quel senso del limite e quella consapevolezza di responsabilità che sono alieni da ogni fanatismo, da ogni rassegnazione, da ogni conformismo ottuso, capaci di realismo, di serietà e onestà intellettuale, di senso dell’umorismo, di apertura verso l’altro e verso l’inedito. Tocca a noi, devoti al nostro patrono sant’Ambrogio, farci avanti, come è toccato a lui entrare in una Chiesa segnata da conflitti e confusioni, per dare volto all’umanesimo ambrosiano”.
Delpini indica quindi alcuni punti chiave per “una visione condivisa che non sia violenta come una ideologia o precaria come un compromesso”, a partire dal ” riferimento a Di” che “è cancellato da gran parte della cultura occidentale. Mi sembra che l’esito di questa censura impoverisca enormemente il pensiero e cancelli il fondamento della speranza. Qui sta la radice antica dell’emergenza spirituale”. Delpini sottolinea quindi l’importanza delle “radici” e della “famiglia” che è “la cellula che genera la società e il suo futuro”. E ancora: Delpini richiama alla “vocazione alla fraternità tra le persone e all’amicizia tra i popoli”, che è “la visione alla quale papa Francesco ha dato il contributo più articolato e stimolante con l’enciclica Fratelli tutti” nella convinzione che “il complesso e polimorfo fenomeno della globalizzazione deve essere corretto per non consentire a una dinamica planetaria di ridursi a una logica di mercato determinata dai prezzi invece che dai valori, a una gestione dell’informazione finalizzata alla manipolazione, a una forma di colonialismo economico e culturale che mortifica e seduce l’umanità”. Delpini indica quindi la “condivisione”, la “fiducia” e la “modestia”, perché “lo stile saggio che i tempi richiedono è caratterizzato dalla modestia”, sottolinea indicando i fondamenti di una nuova visione comune.

 POPULISMO CONDUCE A DISASTRI, NON ESISTONO SCORCIATOIE

Tra i temi sollevati dall’arcivescovo Mario Delpini nel Discorso alla Città, in Sant’Ambrogio, quello della capacità di decidere e ‘come’ farlo: “La nostra società complessa rischia di essere vittima della sua complessità. Come in una specie di babilonia confusa, tutti possono parlare e tutti possono essere ignorati. Ci si difende dallo smarrimento con l’indifferenza. Siamo invece chiamati e siamo capaci di affrontare l’emergenza spirituale con un fiducioso farci avanti: tocca a noi, tocca a noi tutti insieme” e “si dovrebbe trovare una via semplice, persuasiva, democratica per decidere. Infatti, la suscettibilità litigiosa, il puntiglio di difendere il punto di vista e l’interesse particolare, la complicità di una burocrazia cavillosa rendono i procedimenti decisionali di una lentezza scoraggiante e si finisce per compiere sforzi sproporzionati per produrre minuzie, aggiustamenti inadeguati, compromessi insoddisfacenti”.
“Non esistono però scorciatoie – ammonisce Delpini -. L’autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte “facili” del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri. Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti”. Come buone esempio, Delpini cita l'”associazionismo di categorie” le “iniziative di solidarietà, tutte le forme di collaborazione tra istituzioni culturali, sociali, sindacali, politiche, scolastiche, finanziarie, l’impegno delle istituzioni pubbliche per coordinare forze e risorse presenti sul territorio conoscono procedure decisionali che producono buoni frutti. Lo stesso dialogo fraterno tra confessioni e Chiese cristiane è un esempio promettente, come pure gli sforzi per creare relazioni di conoscenza, di stima e di collaborazione tra le religioni, ormai presenti in modo plurale, come è ben visibile anche a Milano”. “Mi faccio voce della comunità della Chiesa ambrosiana per dichiarare la disponibilità a partecipare a tutti i livelli ai processi che si ispirano alla visione che diventa sogno condiviso e può dare forma alla comunità plurale”, le parole di Delpini.

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