Oggi mi piacerebbe davvero tanto parlare di Piercamillo Davigo, ma non lo farò. Anzi, visto che mi piacerebbe tanto, facciamo che ne parlo poco. Davigo ieri sera a La7 ha detto che l’errore in Italia è dire che bisogna “aspettare le sentenze”. Quindi, per giudicare uno non bisogna aspettare la sentenza, bisogna direttamente condannarlo. Stanti così i fatti, secondo la regola Davigo, dovremmo mandare in carcere mezza Anm per la figuraccia del caso Palamara e anche alcune eccellenti firme del giornalismo. E anche ovviamente il vicino di casa che lo sospettiamo di averci rubato i fiori dal balcone, quello che sicuramente ha buttato l’umido nel generico e in breve l’intera Italia sarà un campo di battaglia. Ma Davigo potrà ridere e sorridere. Vabbè, al di là di queste cretinate, parliamo di cose serie. Ovvero, di altre cretinate. Vi racconto in breve la mia infanzia. Quando ero alle elementari mi mettevano i voti, e in quinta elementare ho fatto l’esame. Per carità erano voti indicativi, e l’esame – che un pochino mi ha spaventato – l’abbiamo superato tutti senza problemi. Però poi ho avuto una festa e un regalo, e così ho iniziato a capire che i traguardi raggiunti portano soddisfazione. Alle medie però c’è stato un problema. Non c’erano più i numeri, ma le lettere. E non si capiva che cosa fosse cambiato. In fondo che differenza c’è tra 7+ e B+? Boh, nessuna. Salvo che 7+ si capiva meglio. Un paio d’anni, e hanno mandato in soffitta le lettere per mettere i giudizi. Da notare che magari sbaglio le scansioni temporali, ma sono certo di aver provato tutti e tre i metodi. I giudizi, ecco quelli non li capivi mica. Che cavolo vuol dire “discreto”? E’ buono o cattivo. E “distinto”? Sembrava un distinto signore, o una distinta di pagamento. E buono? E’ sopra o sotto distinto, e sopra l’ottimo c’è l’eccellente? Quanto possono andare in su i superlativi. Ho capito che non si capiva niente, e ho fatto l’esame di terza media, che era un po’ più duro, ma in effetti niente di che. Grande soddisfazione anche là. Poi ho fatto il liceo, e sono tornati i voti come Dio comanda. Tutto ben chiaro, e la maturità che era difficile. Cioè, fatta bene. Bisognava studiare e si studiava. Non si scherzava più, perché in quarta ginnasio, il primo anno di classico, un po’ di compagni non ce l’avevano fatta ed erano stati bocciati. E così in prima liceo, ovvero il terzo anno, che era il secondo vero spartiacque. E poi, appunto, la maturità. In centesimi, che era la cosa più giusta. A mio fratello, per dire, è andato peggio: ha avuto giudizi, numeri, lettere, sistema decimale e alla fine i sessantesimi. Forse ci volevano tutti ingegneri, per capirci qualcosa. Infine, l’università. Dove tanto per cambiare, si cambia. Ecco i trentesimi. E il voto finale suddiviso in 110. Ma vabbè, l’università è un altro discorso. Ora, visto che in Italia ci piace far casino, hanno deciso di archiviare un’altra volta il sistema decimale e di tornare ai giudizi, quelli che non si capivano. Farebbe pure ridere, se non fosse che i ragazzi sono tutti a casa perché le scuole non sono riuscite a riaprirle. E questo, questo fa piangere. E in giudizio, numero, decimi, sessantesimi o trentesimi il risultato finale è sempre lo stesso. Lo zero.

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