La faccia come un Elkann

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Di Fabio Massa

La Fiat non è più italiana. Non lo è da un bel po’. E’ una roba mezza francese con sede legale e tasse pagate lontane dall’Italia. Non ha niente di italiano, salvo qualche stabilimento. Per quegli stabilimenti gli Elkann, in puro stile Agnelli, chiedono allo Stato degli aiuti. Fin qui, c’è la cronaca. Ora ci mettiamo qualche pezzo in più. Gli Elkann possiedono la Stampa e Repubblica. Repubblica se la sono comprata tempo fa, e guarda che caso – ha molta ragione su questo Carlo Calenda – le polemiche mediatiche sul loro atteggiamento spregiudicato si sono sopite. Perché? Perché Repubblica non li attacca, e una parte del sistema mediatico italiano comunque risponde a certi ordini di scuderia. Non tutto, ovviamente. Perché esiste anche un giornalismo di destra che invece attacca a fondo gli Elkann e chiude gli occhi su altre cose. Il punto è che adesso gli Elkann, come dicevo, chiedono gli aiuti di Stato. Non c’è niente di nuovo, considerato che negli ultimi 50 anni sono stati dati alla Fiat circa 200 miliardi di euro, secondo alcuni studi e pure qualche commissione parlamentare. Uno scandalo. Dopo il Covid le garanzie pubbliche hanno dato all’ex Fiat una linea di credito di 6,3 miliardi mentre moltissime altre aziende non riuscivano ad accedere al credito. Questo è qualcosa che qualifica lo stato di sudditanza nei confronti della Fiat da parte della politica italiana. Il problema per gli Elkann, oggi, è che al governo c’è un partito di destra, che non vuole dare proprio niente se non in cambio di una parte di proprietà. Volete i soldi dello Stato? Bene, però lo Stato entra nella vostra azienda. A questo punto levata di scudi: ma come! Lo Stato deve entrare in Stellantis? Ma non si può. Ma come si permette questa Giorgia Meloni. E fa niente che in effetti lo stato francese ci sia, dentro Stellantis. Molto meglio che lo Stato rimanga fuori. E magari che continui a finanziare senza troppo chiedere. Sempre lo stesso giochino di Fiat: mette davanti i lavoratori, che non vogliono perdere il posto di lavoro, per garantire ai padroni di vivere tranquilli e ricchi. Privatizzando gli utili e collettivizzando le perdite. E avendo al loro fianco, in questa battaglia che una volta il Partito Comunista avrebbe definito “l’aggressione capitalista” proprio i nipotini di quel partito. A volte la Storia sa essere davvero ironicamente crudele.

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