Roma si candida all’Expo 2030 e ovviamente Luigi Di Maio esulta. Ovviamente perché non c’è mezza posizione dell’ormai ex Movimento 5 Stelle che non si sia ribaltata. Mai con Berlusconi, e poi c’è gente pronta ad appoggiarlo per il Colle. Mai col Pd e hanno governato col Pd. Mai con Salvini e hanno governato con Salvini. Mai fondi pubblici e prenderanno fondi pubblici. La verità è che mai dire mai. E dunque, anche Expo va bene. Va bene a Roma, non andava bene a Milano negli anni prima del 2015, perché era tutto un “magna magna”, una mangiatoia, un luogo di malaffare. Era la sublimazione del not in my back yard. Cioè, non nel mio cortile, che diventa non nel mio Paese. Non facciamo niente così non rischiamo di sbagliare. E infatti, il Movimento 5 Stelle è riuscito a fare tutto, come abbiamo spiegato sopra.

Il problema, almeno con Roma, è che una parte delle paure sulle grandi opere era ed è assolutamente fondata. Quel che avviene con difficoltà a Milano, o a Torino, a Roma abbisogna di ulteriori cautele. Non vorrei ritrovarmi non tanto con un tema di corruzione, ma con sprechi inenarrabili da qui al 2030, in una città che non ha affrontato nessuno dei grandi problemi delle metropoli odierne. Non dico risolto, ma neppure affrontato. Non ha affrontato il tema dei trasporti. Non ha affrontato il tema dei rifiuti, il tema della sostenibilità ambientale, della vivibilità, della trasparenza, del pareggio di bilancio.

Non ha affrontato nulla perché nulla si è voluto affrontare. E non si è voluto affrontare nulla perché in effetti da prima di Virginia Raggi, l’immobilismo è la cifra della Capitale. Non sono ottimista, sull’Expo 2030, anche se ogni occasione per emendarsi deve e dovrebbe essere colta. Magari Gualtieri chieda un po’ di consigli a Sala, questo sì. A partire dal come fare per cambiare una città partendo da un grande evento.

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