Ho due bolle, quella del bar e quella su Facebook. Sono come due bollicine in bocca: le senti solo quando ci passi sopra la lingua. Allora fanno avvertire la loro presenza, con forza. La bolla del bar dove prendo il cappuccio pensa che deve andare dal parrucchiere prima che chiudano, non sa assolutamente nulla delle sottili sfumature di pensiero che oggi dividono i politici locali. Non ha neanche letto il post di Majorino – lodevole, perché chiarificatore – che dice che appoggia il sindaco quando chiede ristori per le categorie. La bolla del bar è molto incazzata e prova – strumento psicologico perverso ma da capire, e magari anche da curare oltre a stigmatizzare – a rimuovere la paura della rovina economica e di ammalarsi finendo per accarezzare i video negazionisti che gli irresponsabili si girano via whatsapp. Ho sempre pensato che il calcio dovesse chiudere per rispetto a tutti quelli che dovranno stare a casa senza avere lavoro. E invece ho capito, osservando la bolla del bar, che il calcio non deve chiudere assolutamente. E non perché i campioni devono continuare a guadagnare un sacco di soldi, ma perché se levate anche il calcio, e tutto il resto, la gente si rifugerà ancor di più nel negazionismo per sfuggire alla propria paura. Mi sorprende come il teatro e la cultura in generale non siano stati riposizionati con grande forza in televisione: sale chiuse non vuol dire abbruttimento per la popolazione. E dire che ogni volta che hanno messo qualche opera in tv è stato un evento. Vabbè, comunque torniamo alle bolle. L’altra bolla è quella del mio profilo Facebook. Ovviamente faccio il giornalista di politica, quindi indovinate un po’, sono 24 ore che ci sono post solo sulle elezioni americane. E questa è una tristezza vera, fondamentalmente per un motivo. Anche là, come in Italia, non sarei andato a votare perché il meno peggio ho deciso che non lo scelgo più.

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