C’era una volta la verità. Che come sempre è complessa. Ieri ho accennato brevemente al caso dell’Ikea di Corsico. Un’azienda, Ikea, non nuova a episodi diciamo di scarsa tutela dei lavoratori. Diciamo. Questa volta è finita nelle grane perché ha licenziato una donna, madre di un figlio disabile. Secondo le ricostruzioni e le testimonianze della donna, il colosso Ikea non avrebbe voluto concederle i permessi necessari ad accudire il figlio. E quindi, come dicevamo ieri tutti contro Ikea. Abbiamo elogiato la politica, ieri. Abbiamo elogiato Francesco Laforgia perché è stato il primo a gettare il sasso nello stagno. Abbiamo detto tante parole. E il gesto di Ikea ci è sembrato sconsiderato, inaccettabile. Forse ancora lo è. Ma qual è la versione di Ikea? Voi la sapete? Secondo me no, perché in questi casi passa il messaggio di una parte sola. E quindi eccola, ve la leggo: “Negli ultimi 8 mesi la signora Ricutti – si legge nella nota – ha lavorato meno di 7 giorni al mese e, per circa la metà dei giorni lavorati, ha usufruito di cambi di turno e spostamenti di orario, concordati con i colleghi e con la direzione del negozio. Nell’ultimo periodo, in più occasioni, la lavoratrice – per sua stessa ammissione – si è autodeterminata l’orario di lavoro senza alcun preavviso né comunicazione di sorta, mettendo in gravi difficoltà i servizi dell’area che coordinava e il lavoro dei colleghi, creando disagi ai clienti e disservizi evidenti e non tollerabili”. Non è finita: “Di fronte alla contestazione di tali episodi e alla richiesta di spiegazioni da parte dei suoi responsabili su questo comportamento, la signora Ricutti si è lasciata andare a gravi e pubblici episodi di insubordinazione”. Che cosa ha fatto esattamente? Ha schiaffeggiato un superiore? O ha cercato solo di far valere le sue ragioni e Ikea l’ha cacciata? Quindi? Chi ha ragione? Urge una causa, un tribunale, qualcuno che accerti la verità. Perché se è vero che una donna con un figlio disabile va tutelata in tutte le maniere, neppure si può accettare che sia una azienda privata a caricarsene il costo. Questo è antipatico, ma bisogna dirselo. Però dobbiamo vederci chiaro, in queste faccende. Vogliamo un giudice a Milano. E lo vogliamo subito.

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