Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto, a Varese, all’inaugurazione dell’anno accademico 2022-2023 dell’Università degli studi dell’Insubria. Nel corso della cerimonia hanno preso la parola: Angelo Tagliabue, Rettore dell’Università degli studi dell’Insubria; Anna Maria Bernini, Ministro dell’università e della ricerca; Vincenzo Salvatore, Docente di Diritto dell’Unione europea presso l’Università degli studi dell’Insubria, che ha svolto la Lectio Magistralis dal titolo “Dall’Europa del diritto all’Europa dei diritti”; Cecilia Pellicanò, Rappresentante del Personale tecnico-amministrativo; Margherita Crespi, Rappresentante degli studenti nel Senato accademico. La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Presidente Mattarella.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Davide Galimberti, Sindaco di Varese,in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico 2022/2023 dell’Università degli studi dell’Insubria
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il discorso del Capo dello Stato:

Rivolgo un saluto molto cordiale a tutti i presenti, alla Ministra dell’università e della ricerca, ringraziandola per le considerazioni svolte nel suo intervento; al Presidente della Regione, al Sindaco, al Presidente della Provincia, agli altri Sindaci presenti. E, attraverso di loro, ai loro concittadini.

Un ringraziamento a chi ha così ben eseguito l’Inno nazionale e l’Inno europeo.

Un saluto particolare al Corpo accademico, al personale amministrativo-tecnico bibliotecario, la cui rappresentante ha sottolineato la professionalità e lo spirito di abnegazione con cui si fa fronte ai gravosi impegni che vi sono, particolarmente prezioso durante il periodo difficile della pandemia.

Un saluto – il più caloroso possibile – agli studenti, la cui rappresentante, la dottoressa Crespi, poc’anzi ha fornito una manifestazione di fiducia nell’Ateneo e nelle prospettive che l’Ateneo assicura.

Ringrazio il Magnifico Rettore per l’invito a essere presente a questa cerimonia, in questa occasione di apertura del venticinquesimo Anno accademico. Lo ringrazio per la sua relazione.

Ha illustrato i caratteri di questo Ateneo. Venticinque anni sono un’età giovanile, ma l’Ateneo è affermato, consolidato nell’apprezzamento del sistema dei nostri Atenei.

Lei ha parlato, Magnifico Rettore, dell’apertura all’innovazione, dell’apertura alla dimensione internazionale, del forte collegamento con il territorio, non soltanto per effetto del carattere diffuso dei Dipartimenti sul territorio così ampio, cui fa riferimento, ma anche per il reale collegamento con il territorio e le sue attività. Un territorio ricco di attività produttive, dinamico, che svolge un ruolo di traino per la nostra economia.

Vorrei ringraziare molto il Professor Vincenzo Salvatore per la sua Lectio magistralis, nel corso della quale ha ripercorso, in maniera efficace e completa, l’itinerario dell’integrazione europea sin dagli inizi.

Quattro giorni fa mi trovavo in Olanda, a Maastricht, per ricordare il trentesimo anniversario di quel trattato che, come lei ha ricordato, ha trasformato l’Unione da Comunità economica a Unione politica.

Per riferirmi agli inizi, ho fatto riferimento ad alcune pagine di un libro di un grande pensatore olandese, Johan Huizinga, libro che in Italia è stato pubblicato col titolo ‘La crisi della civiltà’ nel 1937. Pochi sanno che quel libro è stato tradotto in italiano da Luigi Einaudi, che sarebbe diventato, poco più di dieci anni dopo, il primo Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento dopo la Costituzione.

In quelle pagine, pubblicate in Olanda nel ’35, Huizinga fa alcune affermazioni profetiche. Immagina, nel’35, che l’Europa possa essere travolta da un’ondata di follia irrazionale, da una grande ondata di follia. E che questa ondata di follia avrebbe lasciato l’Europa prostrata. È esattamente quel che è avvenuto dopo qualche anno.

Ma aggiungeva che, da un lato vedeva segni di resistenza, di disponibilità a sacrificare anche la propria esistenza per difendere i valori dell’umanità. Aggiungeva ancora, nel presentare la lezione italiana, che considerava ottimisti non coloro che ignoravano le difficoltà, ma coloro che, pur prendendone atto e avendone consapevolezza, non perdevano la speranza, non perdono la speranza, anche quando tutto sembra senza prospettiva e via d’uscita.

E sottolineava: la via d’uscita, in realtà è l’improbabile. Ed era improbabile che i popoli europei, dopo una guerra sanguinosa, fratricida, anziché pensare alla successiva guerra, come era avvenuto alla fine della prima guerra mondiale, decidessero di superare tutto questo e mettere in comune il proprio futuro.

Era davvero improbabile, ma avvenne. E avvenne perché alcune persone di grande spessore e lungimiranza durante la tragedia della guerra pensarono e idearono l’integrazione europea.

Solo che noi dobbiamo pensare che non possiamo limitarci a questo ricordo. Ma, come ha detto poc’anzi, come ci ha dimostrato poc’anzi la Lectio magistralis, dobbiamo fare la nostra parte nel tempo che ci appartiene.

Lei ha ricordato, con precisione, che la prima struttura organizzata di integrazione fu la CECA, la Comunità del Carbone e dell’Acciaio. L’acciaio, base degli armamenti, dell’attività industriale; e il carbone era l’energia del tempo.

Allora quei sei Paesi – Italia compresa – affidarono le scelte, le decisioni sull’energia a un’autorità sovranazionale.

Siamo oggi noi in condizioni di farlo nell’Unione europea riguardo alla nuova energia, che non è soltanto il gas, ma anche le rinnovabili, le energie compatibili con le esigenze climatiche?

È una indicazione, un esempio particolarmente eclatante, ma che dimostra che l’Unione europea, l’integrazione, va costruita continuamente, giorno per giorno, non soltanto perché è tuttora incompleta, ma anche perché mutano le condizioni e mutano, quindi, gli oggetti da condurre all’integrazione.

Questa è un’indicazione di grande importanza che lei ha fatto nella Lectio magistralis. Occorre continuare, malgrado ogni tanto affiorino illusioni di ritorni indietro, illusioni di tornare a un tempo che non c’è più, di fronte alle sfide che oggi abbiamo in Europa e in ogni parte del mondo.

Lei ha ricordato quella della sanità. È vero: sempre di più, le prospettive di garantire salute richiedono un’integrazione collaborativa non soltanto continentale, ma mondiale.

Ma richiedono integrazione tutte le sfide più importanti che abbiamo di fronte, dal clima alle migrazioni, indotte in buona parte dai mutamenti climatici che stanno desertificando ampi spazi di territorio mondiale; alla economia globalizzata, in cui grandi soggetti operano totalmente indifferenti e svincolati da regole e interventi dei singoli Stati; a problemi che riguardano ogni aspetto, basta pensare a due grandi transizioni, quella appunto climatica, quella ecologica e quella digitale.

Tutti impegni che nessuno Stato è in condizioni da solo di affrontare ma che richiedono una comune azione nell’ambito continentale.

Questo è il nostro compito oggi.

Anche per questo, qualche anno fa, mi sono permesso di fare una piccola provocazione. Cinque anni fa abbiamo ricordato i sessant’anni dei Trattati di Roma. Si è tenuto a Roma un grande incontro di Capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione. Ovviamente era presente il Governo, perché compete al Governo la politica estera; non compete al Presidente della Repubblica.

La sera sono venuti al Quirinale per un momento di festeggiamento, e ho rivolto un saluto nel quale ho detto ai presenti che i Paesi dell’Unione si dividono in due categorie: i Paesi piccoli e i Paesi che non hanno ancora compreso di essere piccoli anch’essi. Perché, di fronte a queste sfide, nessun Paese è in grado di affrontarle da solo, neppure il più forte economicamente; neppure il più forte militarmente; neppure più forte politicamente.

Questo e il grande lascito che quella generazione di Padri fondatori ci ha consegnato e che è nostro dovere attuare, integrare, costruire giorno per giorno in questo nostro tempo.

E per questo è fondamentale il ruolo dalle Università.

I giovani avvertono di essere cittadini italiani ed europei insieme.

Come abbiamo sentito nella Lectio magistralis, la condizione che Schengen ed Erasmus garantiscono ai giovani era inimmaginabile, non dico quando ero io giovane – molto tempo addietro – ma anche quando erano giovani molti dei presenti. Ma questa è la condizione d’Europa, questa è l’Europa.

Per questo, dopo essere stata per secoli un teatro di guerra fratricida, è diventata un continente di sviluppo, di progresso, di pace, che deve continuare a trasmettere valori di pace intorno a sé, anche in questo tempo drammaticamente segnato dal ritorno della guerra.

Questo è il nostro compito. E sono importanti gli Atenei perché questo compito è affidato ai giovani.

Non a caso il compito degli Atenei è occuparsi del futuro dei giovani.

Auguri e buon Anno accademico.

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