PETER GREEN: addio all’anima blues dei FLEETWOOD MAC

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Si è spento nel sonno sabato 25 Luglio 2020 PETER GREEN (all’anagrafe Peter Allen Greenbaum), talento del blues e co-fondatore dei FLEETWOOD MAC. A darne il triste annuncio ufficiale la famiglia, direttamente dalla casa di Canvey Island, nell’Essex, dove il musicista risiedeva da tempo. Se n’è andato serenamente a 73 anni, dopo aver scritto pagine indelebili della storia del Rock Blues.

Nato a Londra nel 1946, era considerato uno dei migliori chitarristi blues degli anni ‘60/’70, tanto che addirittura un mostro sacro quale B.B. King lo ha sempre citato tra i suoi punti di riferimento. Nel 1966, dopo un inizio nei Peter B’s Looners, poco più che adolescente ebbe l’occasione di sostituire Eric Clapton nei BLUESBREAKERS di John Mayall coi quali incise anche l’album “A Hard Road”.

Nel 1967 assieme al percussionista Mick Fleetwood fondò i FLEETWOOD MAC, con cui ha inciso 5 album in soli due anni, ma l’abuso di droghe – in particolare di Lsd – lo portarono a soffrire di problemi psichici (sfociati addirittura nella schizofrenia) e a lasciare il gruppo nel 1971. Saltuariamente ha continuato a collaborare con la band (nel 1998 è stato inserito con loro nella Rock And Roll Hall Of Fame), non essendo però in grado di gestire i ritmi e le responsabilità del grande successo si è visto costretto prendere una lunga pausa (trascorsa per lo più in un’ospedale psichiatrico) per poi rilanciare la sua carriera solista (e un’attività fiorente in qualità di session man) soprattutto negli anni ’80. Più di recente con i suoi SPLINTER GROUP ha inciso 8 album, l’ultimo “Reaching The Cold 100” del 2003. Nel 2010 l’ultimo tour di Peter Green & Friends.

Il suo stile originale e quel vibrato armonico unico nel suo genere hanno espresso tutto il proprio calore soprattutto attraverso la sua storica Gibson Les Paul del 1959, venduta successivamente a GARY MOORE e oggi nelle mani di Kirk Hammett dei METALLICA. Sua specialità erano le jam infinite, in cui il suo istinto all’improvvisazione non conosceva confini: “Blues Jam At Chess” del 1968 resta un capolavoro senza tempo.

Stimato cantautore, ha firmato hit quali “Albatross”, “The Green Manalishi” (portata al successo anche dai Judas Priest) e “Black Magic Woman” rivisitata e portata nelle classifiche di tutto il mondo da Carlos Santana. Jimmy Page (Led Zeppelin), Joe Perry (Aerosmith) e Rich Robinson (The Black Crowes) lo hanno citato più volte tra le loro influenze decisive.

La notizia della sua morte è stata preceduta di qualche giorno dall’annuncio della pubblicazione di un box di vecchi successi (1969 / 1974) dei Fleetwood Mac.

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