Milano, la protesta dei lavoratori H&M

Manifestazione contro i "licenziamenti mascherati da trasferimenti" decisi dalla nota catena di abbigliamento.

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Protesta delle lavoratrici e dei lavoratori di H&M in corso Buenos Aires a Milano contro 70 trasferimenti che, secondo i manifestanti, appoggiati dal sindacato Adl Cobas, sono in realtà dei licenziamenti mascherati. Per molti di loro infatti si tratta di destinazioni molto lontane da casa. In una nota si legge: “Siamo le lavoratrici e i lavoratori di H&M Milano. Nonostante la retribuzione inadeguata, i turni di lavoro massacranti e incompatibili con i normali tempi di vita personali e familiari, la domenica e durante le festività trascorse lontani dagli affetti più cari, vi abbiamo sempre accolti con un sorriso nei negozi di corso Buenos Aires e via Torino, orami dismessi a nostra insaputa. Oltre lo scintillio e le luci abbaglianti delle vetrine di una delle multinazionali più redditizie del settore, si nascondono i timori e la disperazione per le nostre vite compromesse dai licenziamenti mascherati sotto forma di trasferimenti fittizi.
Seppur H&M abbia registrato risultati positivi durante i primi mesi dell’anno e abbia continuato a fatturare anche durante il lockdown grazie allo store online,Il colosso milionario riprova a mantenere e aumentare i propri profitti chiudendo due negozi storici di Milano per liberarsi di noi lavoratrici e lavoratori ritenuti un costo in perdita per via delle nostre tutele contrattuali. La strategia aziendale, nonostante la liquidità e gli aiuti di cui dispone, punta a sfruttare la crisi generata dal Covid per giustificare una precedente ristrutturazione che mirava a sostituire i lavoratori e le lavoratrici più anziane, che non corrispondono ai canoni imposti dalla mercificazione dei nostri corpi, con nuovi precari da sottopagare e sfruttare attraverso contratti a intermittenza e a chiamata. Dopo la serrata selvaggia, avvenuta senza alcuna comunicazione, l’azienda con la complicità dei confederali, ha provveduto ad inviare formale comunicazione di trasferimento, per lo più, presso unità produttive distanti kilometri. Sedi economicamente e geograficamente irraggiungibili. Quali criteri siano stati utilizzati per operare tali trasferimenti non ci è dato sapere. Sicuramente non sono stati tenuti in considerazione gli obblighi legati alla legge 104 né le complesse condizioni di gestione familiare che coinvolgono, non solo le neo mamme, ma tutte le donne costrette a colmare l’assenza di un welfare in agonia.
E’ impensabile, per noi lavoratori e, soprattutto, per noi lavoratrici, obbligate a trasferirci, addirittura, ad Ancona, la possibilità di sostenere economicamente e concretamente le nostre famiglie. Per questo simo pronte e pronti a denunciare pubblicamente il tentativo dell’azienda di sfoltire un licenziamento collettivo, che pagherebbero caro in termini, anche, di immagine, costringendo i lavoratori a dover dimettersi perché impossibilitati a raggiungere le nuove sedi assegnate.
Non siamo manichini in serie da rottamare quando il “costo” dei diritti e delle tutele contrasta con i guadagni e i profitti di chi specula sullo sfruttamento della riorganizzazione selvaggia delle aziende.
Non siamo disposti a cedere all’ennesimo ricatto che tenta di spingere ai margini della precarietà i più giovani e nella gabbia del focolare domestico le donne più mature.
Per questo abbiamo scelto di organizzarci insieme ad ADL Cobas, per questo attraverso il loro sostegno e con la solidarietà di tutte le realtà cittadine che chiamo ad appoggiarci, denunceremo pubblicamente un’ingiustizia travestita da ennesima crisi che non siamo disposte e disposti a pagare”.

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