Mi piacerebbe uno scatto d’orgoglio. Forte, in avanti, coeso. Non ce l’avremo, con tutta probabilità. Ma a me piacerebbe. All’inizio di questa crisi, che è appena cominciata e che sarà lunga e che porterà a un inverno durissimo della nostra economia, si pensava che sarebbe andato tutto bene. Lievito e farina non sono mancati, e ci siamo dilettati a far pizze e focacce. Tutto molto bello, tutto molto buono (salvo le pagnotte bruciacchiate e le margherite gommose). Avevamo in fondo la certezza che questo virus avrebbe preso a testate lo status quo, portandoci una rivoluzione. E si sa, in una rivoluzione ci sono le vittime ma poi le cose tendono a cambiare verso il meglio. O almeno, l’abbiamo sperato mentre coniavamo, tra una cantatina sul balcone e l’altra, l’hashtag #andratuttobene. E invece poi c’è la realtà a incaricarci di farci capire che non andrà tutto bene manco per il cazzo, e che la rivoluzione o la facciamo noi o niente, perché il virus si chiama Covid e non Voltaire. Pensavamo che la scienza ci avrebbe aiutato, e invece sono riusciti a dire cinquantamila cose diverse. E quando non avevano da dire, hanno smesso di dire. Per esempio: che ne è dell’allarme sulla sindrome di Kawasaki che potrebbe colpire i bimbi? Boh. Uscita dalla scena. Pensavamo che la politica sarebbe stata responsabile. E invece è stato un pestaggio continuo tra Regioni, Stato, forze di maggioranza, tra Palazzo Marino e Palazzo Lombardia, per stare vicino a noi. E di problemi ce ne sono. Tanti. Smettessero di litigare ed eliminassero dalla mia vista Arcuri sarebbe meglio. Poi, visto che ci mettiamo anche noi del nostro, ci sono gli insulti a Silvia Romano, le illazioni cretine. E poi l’infermiera che si ritrova scritto su carta che porta il Covid nel condominio. E non ne cito altre perché tendo a dimenticare le cose brutte. Siamo delle merde, eddai. Diciamocelo. Siamo un popolo di merda. Finirà come scriveva Cuore nel 1992. Un bel titolo a scatola: Saremo più poveri, ma stronzi uguale.

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