C’è un grande equivoco che sta guidando la mano dei nostri governanti. L’equivoco del successo nella comunicazione. Per chi è di Milano si tratta di fatto di tre “livelli”, dal più prossimo al più lontano: Beppe Sala, Attilio Fontana e Giuseppe Conte. E dunque Comune di Milano, Regione Lombardia e Governo. Ognuno dei tre livelli ha impostato una propria strategia di azione e di comunicazione. Beppe Sala è attendista, e guarda al futuro. Parla spesso di quando si riaprirà, di che cosa bisognerà fare. Non avendo (e non volendo neanche avere) responsabilità dal punto di vista sanitario, sposa piccole battaglie come quella sui pennarelli, lancia messaggi via Instagram, insiste spesso sul fatto che sta facendo riunioni per “capire” la strategia futura. Non parla del Coronavirus, parla di quello che arriverà dopo il Coronavirus. Cerca di evitare le polemiche anche se poi qualche stoccata ad Attilio Fontana la dà, perché non può essere altrimenti. Sta più attento con il governo, anche se poi ieri quando ha visto i fondi che arriveranno a Milano dei 400 milioni stanziati, l’assessore al Bilancio è sbottato non poco. Perché all’inizio della crisi si aspettavano 100 milioni di euro per il massacro dell’economia, e invece ne arrivano 7, e meno di Napoli che la crisi del Coronavirus manco l’ha avuta.

Poi c’è Attilio Fontana, e dunque la Regione Lombardia. Anche in questo caso la strategia è chiara. Dire tutto, fin da subito. Pure quello che sembra scomodo. Teoria del fare, e trasparentemente. Attilio Fontana si mette la mascherina perché questo prevede il protocollo, e chissenefrega di quel che può succedere. I dati sui tamponi sono quelli e fine. I dati sui morti sono quelli e fine. Una strategia del genere funziona solo se quella generale portata avanti funziona. Ovvero: se il numero di morti alla fine sarà inferiore percentualmente rispetto alle altre zone d’Italia e alle altre zone d’Europa, avrà funzionato la strategia comunicativa perché quella generale sarà stata giusta. Ma vale anche l’inverso.

Infine, il Governo. Ha scelto chiaramente di seguire il modello lombardo, ma a distanza. E’ incappato in problemi enormi a livello di comunicazione sul territorio, come le mascherine buone solo per farci la polvere. Le misure prese economicamente ancora una volta sono a trazione centro-sud, e c’è poco da farci. Anche la battaglia con l’Europa suona poco credibile, visto che proprio all’Europa il governo è stato prono fino ad ora. Il più grande timore è che quella battaglia se la intesti appieno Matteo Salvini. Però i dati di gradimento sono alti, adesso.

C’è un’unica cosa che tuttavia è sicura. Chi governa è al massimo del consenso durante le crisi (perché c’è sempre chi recrimina, ma alla fine quando c’è da fare, si lascia fare al manovratore). Mi viene sempre in mente Churchill, al quale Conte spesso si richiama, anche a sproposito. Ecco, Churchill vinse la guerra. E perse le elezioni subito dopo. Perché finita l’emergenza vengono fuori la miriade di storie personali, di tragedie, di dolore. In una guerra, così come in una crisi sanitaria, non ci sono vincitori. Non è Expo 2015 da raddrizzare e poi incassare onori dopo aver disbrigato gli oneri. Non ci sono onori, dopo gli oneri di una pandemia. Ci sono solo lutti, e dolore, e crisi economica. La vera questione è solo chi si sottopone al giudizio del popolo, perché ha le elezioni imminenti, e chi no.

fabio.massa@affaritaliani.it

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