Nella mia carriera ho conosciuto tanti imprenditori. Alcuni ricchissimi. Quasi tutti – credo – pagavano le tasse. Alcuni no, e sono finiti nei guai. A Milano di imprenditori e partite iva è pieno. Così, il governo ha pensato bene di proporre due cose: il massacro delle partite Iva, poi rientrato, e il carcere per le evasioni fiscali oltre i 100mila euro. Ora. Qualunque imprenditore può spiegare che il problema non è l’evasione fiscale. Quella va punita, duramente. I grandi evasori, quelli seriali, vanno puniti molto duramente. Anche con il carcere. Il problema sono i 100mila euro. Perché 100mila euro sembrano tanti al dipendente, che non vede le sue trattenute, o comunque non se ne cura, ma già un professionista di medio livello sa che non sono poi così tanti. Ricordo di un piccolo imprenditore. Aveva uno studio grafico che negli anni Ottanta fatturava miliardi di lire. Poi arrivò la grafica computerizzata, le grandi case di moda iniziarono ad aprire dei propri dipartimenti interni. Insomma, da una sede in centro a Milano si dovette spostare in periferia, in uno studiolo in un seminterrato a trecento metri dal fiume Lambro e a duecento dallo svincolo della Tangenziale. Faceva piccoli lavoretti per cercare di campare. Il problema è che aveva le tasse arretrate, quelle del tracollo, da pagare. Se le è trascinate avanti per anni, fin quando ha venduto la propria casa, ha chiuso l’azienda, e ha pagato lo Stato. Giusto così, si potrà dire. Ecco, il problema è che lui sarebbe finito in carcere. E questo non sarebbe stato giusto. Il problema in Italia è che si mischia sempre tutto. Si mischia un concetto giusto, ovvero punire gli evasori, con un limite sbagliato (100mila euro). Si mischia un concetto giusto, ovvero limitare il contante per gli acquisti, con un limite sbagliato (1000 euro). Perché in fondo, così facendo, il prossimo governo la prima cosa che farà sarà levare, con il limite, anche il concetto. E ognuno potrà andare avanti a fare quel cavolo che gli pare.

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