Oggi parliamo di Beppe Sala, speriamo per l’ultima volta su questo argomento. Il sindaco di Milano è stato condannato con assoluzione per la questione Expo. Mi spiego. E’ stato condannato dal Tribunale, mesi fa, perché si è accertato che ha firmato due documenti sapendo che erano stati retrodatati, e dunque sapendo di commettere un falso. Ma lo ha fatto – e in questo sta l’assoluzione morale del Tribunale – non per avvantaggiare l’uno o l’altro o per trarne vantaggio per sé, ma solo e unicamente perché altrimenti Expo non si sarebbe fatta. Fin qui, come si dice, i fatti. Ovvero cose che sono scritte nere su bianco. Ora c’è il futuro. Sala ha fatto sapere di ricorrere in appello, ma a novembre c’è la prescrizione per quel reato, e dunque c’è da scegliere se rinunciare alla prescrizione e fare il processo oppure lasciare che la legge faccia il suo corso e chiudere definitivamente la questione. La scelta non è da poco, perché in base a questa scelta i cittadini, i lettori, gli ascoltatori avranno due narrazioni. La prima, se sceglie il processo e dunque rinuncia alla prescrizione: Beppe Sala ancora alla sbarra per Expo, Beppe Sala ancora a giudizio. Un’altra requisitoria finale, un’altra sentenza. Altri titoli sui giornali e il concetto che si consolida: Sala ha ladrato su Expo (anche se questo non è vero). Se invece sceglie la prescrizione, il lettore e ascoltatore avrà questa narrazione: Sala aveva qualcosa da nascondere e quindi ha fatto finire in prescrizione il processo. Capite che c’è qualcosa di malato, in questo? Io fossi Sala sceglierei la prescrizione e lo direi chiaro: basta intasare i tribunali con beghe politiche. Sono stato giudicato, mi hanno condannato ma di fatto assolto, non rompete più le palle. Ecco, così. Non una parola in più, non una in meno. Per una volta, fregandomene delle conseguenze.

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