C’era una volta il popolo.

Il popolo bue, lo chiamano alcuni, disprezzandolo.

Il popolo becero e informe, fatto di istinti primordiali, secondo altri ancora.

Il popolo che vota, secondo tutti. Che detiene il potere e in nome del quale viene amministrata la giustizia.

Lo sapete: non sono un populista. Ovvero, non sono per mitizzare il popolo contro le classi dirigenti. Non è vero che la classe dirigente è migliore del popolo, come dicono i radical chic. Non è vero che la classe dirigente è peggiore del popolo, come dicono i populisti. La classe dirigente semplicemente è lo specchio del popolo. E se la classe dirigente vuole essere eletta non può disprezzare o non ascoltare il popolo, ma deve ascoltarlo. Deve comprenderne le paure, le esigenze. Deve intuirne le traiettorie e apportare i correttivi quando queste sconfinano nell’intolleranza, nella paura del diverso: meccanismi talmente naturali da essere scritti nel nostro dna di bestie, e quindi come tali da combattere sempre. Oggi vorrei aggiungere un piccolo tassello alla riflessione su Macerata. Ho letto che Matteo Renzi vuole percorrere una via stretta, fatta di condanna netta per il fascista xenofobo, ma anche di understatement. Cioè, non vuole dare enfasi a quanto avvenuto. Il motivo è semplice: il caso Macerata sta portando voti alla Lega. Capito? Secondo i sondaggisti le polemiche successive al caso Macerata, con gli strepiti su Salvini mandante morale, avvantaggiano lo stesso Salvini. C’è un pezzo su questo su Repubblica. Eppure la sinistra radicale ha trovato la sua battaglia. Al solito, è una battaglia suicida, perché toglie fiato ai moderati di sinistra, che sono la maggioranza, e crea una polarizzazione destra sinistra che avvantaggia solo Salvini. Mi stupisce come certi fini strateghi dalle parti di D’Alema e dintorni non l’abbiano capito. O forse l’hanno capito benissimo, ma pur di far perdere Renzi, venga il diluvio.

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