C’era una volta un Paese che aveva paura. In effetti, a me, questo mondo fa un po’ paura. A Londra ammazzano la gente a coltellate e investendoli con un furgoncino. A Torino un pirla qualunque fa il gesto di farsi esplodere e il fuggi fuggi causa 1500 feriti e un bambino in fin di vita. Che cosa hanno in comune le due cose? Hanno in comune il fatto che si tratta di psicosi, e che in fondo stanno vincendo loro, quelli la. Vogliono proprio questo, quelli là. Che non si finisca più per ridere neppure delle bravate, e che oggi su Facebook la gente inneggi alla impiccagione di un ragazzo che forse, in altri tempi, avremmo rampognato con un sorrisetto ricordando Amici miei. Invece no. Ora è tutto diverso. Si tratta di prenderne atto, e di capire che forse non basta mandare avanti il nostro stile di vita così come prima perché tanto alla lunga vinceremo, e che forse è proprio questa la nostra debolezza. Loro sono in guerra, noi no. Loro ci ammazzano, noi piangiamo (io per nulla), per la Juventus che perde la Champions. Loro influenzano le elezioni ben sapendo che la nostra democrazia, in Europa, oscilla tra il perbenismo un po’ peloso di sinistra e la xenofobia inutile e dannosa della destra, e che una terza via che coniughi sicurezza e diritti ancora non è stata né trovata né percorsa. Ecco, invece di parlare di legge elettorale e listini bloccati, dopo mesi di inutilità assoluta del governo Gentiloni, forse questa si tratta di una priorità. Oppure al prossimo attentato, al prossimo scherzo, al prossimo metro fermo in galleria, ci prenderà il panico.

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