«Se non vi sarà un’inversione di marcia a livello europeo e nazionale, molto probabilmente Milano  avrà a che fare con un’emergenza umanitaria ancora più grave di quella dei mesi successivi all’ottobre 2013: perché non sarà più raggiunta da migranti in transito verso i Paesi del Nord, ma da persone che chiederanno asilo in Italia e dunque si fermeranno da noi. Occorre farsi trovare pronti e preparati per accogliere in modo dignitoso queste persone in continuità con quanto la tradizione milanese ha sempre dimostrato di saper fare», sostiene Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.

«Fino ad ora Milano ha fatto la sua parte: sarebbe interessante e molto utile sapere dai candidati alla guida della città, se e come intendono affrontare la situazione, visto che l’accoglienza dei migranti sarà una delle priorità che il nuovo sindaco, chiunque esso sia, dovrà affrontare probabilmente già nei primi 100 giorni di governo», ha esortato Gualzetti.

Secondo il direttore di Caritas Ambrosiana questa seconda fase dell’emergenza dovrà chiamare in causa nel territorio della Diocesi non solo Milano ma più direttamente anche la sua area metropolitana vasta. «Non è più possibile che le prefetture ci chiedano di trovare nuove strutture e i comuni si mettano di traverso, scaricando il problema sul vicino, come purtroppo sta accadendo ora. Occorre superare la logica egoistica della paura che non porta a nulla e prendere coscienza di quanto sta accadendo nel mondo intorno a noi. In attesa di una riforma del sistema Sprar che in una logica solidaristica e di corresponsabilità renda l’adesione dei comuni non più volontaria ma obbligatoria e per quote, serve un sussulto di responsabilità da parte dei politici locali al di fuori degli schieramenti e degli approcci ideologici. La Caritas e la Chiesa non si tireranno indietro, ma serve il contributo di tutti gli attori pubblici e privati», chiarisce Gualzetti.

Dalla scorsa estate Caritas Ambrosiana è impegnata nelle creazione di un piano di accoglienza diffusa dei migranti nelle parrocchie e negli istituti che sommandosi al centri già gestiti dall’insieme delle realtà ecclesiali è già giunto ad una capienza di mille posti suddivisi in 109 strutture.

Dai centri più grandi di prima accoglienza, i migranti vengono ricollocati nelle strutture più piccole in genere appartamenti, capaci di ospitare nuclei familiari o al massimo 4-5 persone, dove è possibile avviare percorsi di integrazione, contando oltre che sui servizi, stabiliti dalle convezioni, anche sul contributo dei volontari e delle famiglie tutor.

Ora il cambiamento della natura dei flussi migratori, bloccando il turnover, sta saturando il sistema. Ad esempio a Casa Suraya, il primo centro aperto per l’emergenza siriana, il flusso dei migranti in transito si è interrotto. Ora gli ospiti sono tutti richiedenti asilo, per il 45% nigeriani, o “dublinati”, in genere eritrei, somali e iracheni, migranti che erano stati identificati in Italia, hanno raggiunto un altro paese europeo e da lì sono stati riaccompagnati nel nostro paese per effetto degli accordi di Dublino. Queste persone non si fermeranno solo per pochi giorni come avveniva in passato, ma avranno diritto di rimanere nel centro fino a quando la commissione territoriale non avrà esaminato la domanda, quindi per un tempo che può arrivare anche ad un anno ed oltre.

Di muri, fili spinati, e politiche di accoglienza si parlerà sabato 16 aprile alle ore 9.30 nella parrocchia di San Marco (piazza S. Marco 2 a Milano) al convegno “Europa, terra promessa?” organizzato da Caritas Ambrosiana e Pastorale dei Migranti della Diocesi di Milano. Interverranno mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, Carità, Missione e Azione Sociale della Diocesi di Milano; Catherine Wihtol de Wenden, politologa e sociologa; padre Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti Sociali. Seguiranno testimonianze di operatori impegnati nell’accoglienza dei migranti da Calais, Belgrado, Milano.

 

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