Il sistema delle università lombarde è un “sistema fortunato per i risultati positivi che riesce a raggiungere su diversi fronti: occupazione dei laureati, risultati della ricerca, rapporti con le imprese”. Proprio per questi buoni risultati i rettori lombardi hanno chiesto, nel corso della conferenza stampa Primavera delle Università che si è tenuta ieri in Comune a Milano, una inversione di fiducia verso gli atenei da parte del governo ma anche da parte dei cittadini. Tra gli ostacoli indicati, la gabbia burocratica che intrappola gli atenei e che spesso impedisce di fare strategia e competere in modo paritario con le università europee e straniere, la scarsità di finanziamento pubblico e privato alla ricerca e allo sviluppo che in Italia è tra i più bassi in Europa e la possibilità di aumentare le lauree professionalizzanti, soprattutto quelle del triennio, per aumentare l’occupazione dei giovani laureati agganciando in modo efficace la formazione al sistema imprenditoriale. «Milano e la Lombardia – ha detto Gianluca Vago, rettore della Statale e presidente del Comitato regionale di coordinamento delle università lombarde – fanno da sfondo ad un sistema universitario articolato, ricco di competenze e di connessioni con le diverse entità territoriali, istituzionali, economiche, della cultura. Abbiamo dimostrato che le università possono fare rete costruendo conoscenza e sviluppo, raggiungendo obiettivi molto buoni, anche sullo scenario internazionale, nonostante crisi e sottofinanziamento e nonostante l’università sia troppo spesso impacciata nella sua azione dal peso di regole e cavilli davvero anacronistici». «Il messaggio forte delle Università milanesi – ha aggiunto Cristina Messa, rettore dell’Università di Milano-Bicocca – è quello di dare il più possibile accesso ai giovani alle carriere universitarie, alle infrastrutture, a progetti di ricerca anche in collaborazione con l’industria. Per realizzare questo obiettivo occorrono finanziamenti, al momento troppo limitati, semplificazione delle norme di reclutamento ed impegno delle Università a fare rete col territorio. Tre i concetti chiave: capitale umano, risorse finanziarie e strutturali, regole». «A Milano e in Lombardia – ha sottolineato il rettore del Politecnico Giovanni Azzone – si ha ormai una percezione diffusa del valore dell’università per assicurare la competitività complessiva del nostro ecosistema. Occorre che questa visione si estenda all’intero Paese e che le istituzioni definiscano in modo coerente la politica di sviluppo del nostro sistema universitario». «Finanziare la ricerca – ha aggiunto Eliana La Ferrara, prorettore per la Ricerca dell’Università Bocconi – non è un favore che si fa al sistema universitario, è un favore che si fa al paese. Senza ricerca non c’è innovazione, senza innovazione non c’è crescita. All’inizio degli anni ’50 l’Italia era molto lontana dalla frontiera tecnologica, quindi per crescere bastava adottare tecnologie esistenti, investire in “quantità” e avvicinarsi alla frontiera. Dagli anni ’90 siamo arrivati vicini alla frontiera, e per crescere abbiamo bisogno di spingerla in avanti: investire in qualità, per creare nuove idee e trasformarle in potenziale produttivo. Per fare questo è necessaria la ricerca. Essendo un bene pubblico, è cruciale che ci siano finanziamenti pubblici adeguati». «Il rilancio dell’Università e del Paese – ha detto Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – passa necessariamente attraverso la programmazione di interventi di sostegno al diritto allo studio che promuovano il merito e consentano un’adeguata mobilità sociale. In questa prospettiva, data la ormai strutturale insufficienza di fondi pubblici, è indispensabile pensare a forme innovative di agevolazioni e di supporto al percorso universitario (come per esempio il contratto studentwork ideato in Università Cattolica), valorizzando sinergie positive tra interventi pubblici e sostegno privato». «La ricerca – ha aggiunto Paolo Buonanno, prorettore delegato alla ricerca scientifica dell’Università di Bergamo – non sembra essere una priorità per il nostro Paese. I dati più recenti mostrano come l’Italia investa in ricerca solo l’1,2% del PIL, a fronte di una media europea del 2%. Uno dei principali obiettivi della strategia di sviluppo dell’Unione Europea, declinata nel programma Horizon 2020, è l’aumento della spesa per ricerca e sviluppo al 3%. L’anomalia italiana però non è imputabile al solo settore pubblico. Infatti, decomponendo l’1,2% di investimenti in ricerca tra spesa pubblica e spesa privata emerge che lo 0,65% di spesa in R&S è sostenuta dal settore pubblico mentre solo lo 0,55% dal settore privato a fronte di una media OECD (Organizzazione per l’economia, la cooperazione e lo sviluppo) pari all’1,5%». «Si rende sempre più necessaria una visione dell’attività formativa tale da permettere ai futuri laureati di ricoprire ruoli in un contesto internazionale – ha detto Maurizio Memo, prorettore alle attività di ricerca, internazionalizzazione e alta formazione dell’Università di Brescia -. La consapevolezza dell’abolizione dei confini geografici in tutti i campi delle Scienze deve condizionare la modalità, ma soprattutto i contenuti delle attività formative. Questi processi devono essere accompagnati da supporti normativi per il riconoscimento dei titoli e delle Istituzioni universitarie».

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