C’era una volta Matteo Renzi. Ieri, considerato il fatto che mi ero tenuto la serata libera per il fantastico incontro con Di Maio, rinunciando a uscire con due modelle tutte per me (sì, come no). Ecco, considerato che ormai ero a casa spaparanzato sul divano, mi sono visto l’ultimo quarto d’ora di Matteo Renzi su La7, intervistato da un fuoco di fila di giornalisti. Prima considerazione: non mi ha infastidito che i giornalisti fossero nemici giurati dell’ex premier. Alla fine, se si vogliono fare domande scomode, l’inimicizia è la posizione migliore dalla quale farle. Sempre che questa non tracimi nell’illogicità. Da questo punto di vista, purtroppo, è arrivata la conferma che la partigianeria alligna prima di tutto nei media. Niente di nuovo. Dopodichè, Renzi. Ha rivendicato quello che ha fatto e forse pure quello che non ha fatto. Ha espresso i risultati del suo governo e quelli mancati da Gentiloni. Ha riconfermato di essere lui il leader del suo partito. Insomma, ha girato la testa indietro, sempre al passato. Dimenticandosi che lui era il leader che guardava al futuro, prima del 4 dicembre, in modo quasi ostinato e sicuramente contrario a quanto facevano tanti altri. E dimenticandoselo, è diventato uguale a loro. Con o senza giornalisti avversari.

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