C’era una volta il sistema delle case popolari. Grande intuizione di quando l’Italia era un Paese civile. Chi non poteva permettersi una casa ma voleva lavorare, voleva migliorare, ne aveva una a basso canone, pagata con una piccola tassa presa dagli stipendi di chi il lavoro invece ce l’aveva. Poi, pian piano, è cambiato tutto. Il populismo stupido e becero fece sì che una tassa utile venisse levata mentre quelle sulla benzina per la guerra in Libia rimanessero. Poi ci fu la riforma delle Aler, che finirono sotto la competenza delle Regioni che non avevano però fondi necessari a garantire il servizio. Infine, ci fu la scellerata intuizione di qualche alto papavero formigoniano che pensava che le case popolari potessero auto-sostentarsi e non fossero quello che in effetti sono: un servizio di welfare sociale. In tutto questo, a complicare le cose, il lassismo di alcuni degli abitanti delle case popolari, scientemente e felicemente al limite della sussistenza (per fortuna la maggioranza non è così), l’abusivismo di chi non vuole stare in graduatoria, la politica e i suoi mille condizionamenti. Alla fine, ora, a Milano, pare essere cambiato qualcosa. Prima MM, con la sua gestione nuova di zecca, e adesso Aler Milano, con un presidente che pare davvero voglia fare qualcosa di buono, a partire da una visita approfondita in ogni quartiere per capire quali sono i problemi. Ieri Maroni ha annunciato una sorta di piano Marshall sulle case popolari. Sintomi non di una malattia, ma di una guarigione. Speriamo.

 

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